Porti: transizione difficile per l’Italia

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Il quadro complessivo delle future politiche di sviluppo del sistema portuale è ormai delineato.

Nel complesso 3.660 milioni di euro, quasi l’intero ammontare delle risorse previste dal PNRR per la portualità nazionale: in questo modo gli investimenti maggiori ricadono sulle procedure di approvazione, monitoraggio e controllo definite dal Governo italiano, piuttosto che da quelle più stringenti messe a punto dalla Commissione europea.

Le risorse che fanno capo al Recovery Fund, relativamente ai porti e alla logistica integrata, ammontano a 0,63 miliardi di euro e sono destinate a sostenere le riforme necessarie alla modernizzazione del settore (semplificazione delle procedure per la pianificazione strategica, aggiudicazione delle aree portuali, autorizzazioni in particolare per gli impianti di cold ironing, implementazione sportello unico doganale) e la digitalizzazione dei servizi di trasporto passeggeri e merci.

I motivi dell’allocazione delle risorse

La scelta di concentrare gli investimenti nel Fondo complementare tiene conto sia dell’esigenza politica di avere maggiori margini di manovra per l’assegnazione dei finanziamenti alle singole Autorità portuali di sistema sia della complessità dei processi attuativi degli interventi infrastrutturali portuali.

In relazione a quest’ultimo punto molto ci si attende dal Dl 76/2020 (Semplificazioni) che ha ampliato e prorogato la disciplina dei commissari straordinari previsti dal decreto sblocca cantieri (Dl 32/2019), per cui oggi abbiamo 29 commissari straordinari tra cui tre Presidenti di Autorità portuale di sistema per 57 grandi opere il cui costo d’investimento è di oltre 82 miliardi; e dal Dl 77/2021 (Governance PNRR) attraverso cui sono state introdotte procedure semplificate per accelerare l’approvazione e l’attuazione delle grandi opere.

Il nuovo dispositivo riguarda dieci interventi di rilevanza strategica, tra cui due attengono alla portualità: la nuova diga foranea di Genova e il progetto Adriagateway di Trieste. L’art. 44 del Dl 77/2021 prevede una commissione speciale per la valutazione dell’impatto ambientale (VIA), una Soprintendenza speciale per la tutela dei beni culturali e paesaggistici relativi ai contesti interessati dagli interventi del PNRR, il comitato speciale del Consiglio superiore dei lavori pubblici come struttura di valutazione preventiva dei progetti di fattibilità tecnica ed economica, di compensazione dei conflitti interministeriali e territoriali e di mediazione nei casi di dissenso in sede di VIA e di conferenza di servizi. Per risolvere le questioni più difficili, ampi poteri sostitutivi sono affidati al Presidente del consiglio e al Consiglio dei ministri che si avvale di una Segreteria tecnica presso Palazzo Chigi.

Nell’insieme un complesso sistema normativo (che presenta ambiti di sovrapposizione) e un apparato tecnico imponente per realizzare congiuntamente l’obiettivo dì accelerare i processi autorizzativi e di attuazione. Un obiettivo irrinunciabile che va perseguito non solo per le grandi opere, ma anche per la pluralità degli interventi ordinari. La sfida è stata lanciata, le risorse finanziarie e organizzative messe a punto. C’è da augurarsi che siano adeguate, perché nei prossimi sei anni, secondo il cronoprogramma del PNRR, in un’ottica di sviluppo e di transizione ecologica, si giocano le sorti del Paese. In tale contesto un ruolo importante dovrà essere sostenuto dal sistema portuale nazionale.

Lo sviluppo del sistema portuale

È vero, come afferma il ministro Enrico Giovannini, che “circa 4 miliardi previsti dal piano sui porti è una cifra che non si è mai vista”. Ma, nonostante le risorse in gioco, le prospettive di sviluppo del sistema portuale restano ancora poco chiare. L’unico dato certo sembra essere la scelta di concentrare gli investimenti nei porti di Genova e di Trieste: nel primo per realizzare una diga foranea, a 500 mt. più al largo rispetto a quella esistente, per consentire l’accesso delle nuove mega navi container, nel secondo per implementare ulteriormente la piattaforma logistica attraverso ampliamenti e interconnessioni ferroviarie. Ai due porti sono stati assegnati rispettivamente 500 e 400 milioni di euro (quasi la metà delle risorse previste per le infrastrutture portuali dal Recovery Plan).

I finanziamenti sono finalizzati al sostegno dei due porti come nodi logistici al servizio dell’Europa. Lo sviluppo del porto di Genova non è legato soltanto alla sua accessibilità marittima (la nuova diga), ma al completamento del Terzo valico e del tunnel del Monte Ceneri, indispensabili per la funzionalità del corridoio Rotterdam Genova.

A Trieste, il porto italiano più avanzato sul piano dell’intermodalità nave-ferrovia, è decisivo implementare le relazioni con l’interporto di Cervignano come nodo di scambio verso la piattaforma logistica di Norimberga. Siamo in entrambi i casi solo all’inizio di un processo ma, mentre a Genova i tempi di attuazione saranno inevitabilmente lunghi, a Trieste sono previsti avanzamenti più rapidi.

Qui si è intrapreso un processo virtuoso: alleanze con operatori della logistica internazionali (il porto di Amburgo, l’interporto di Norimberga, la società danese di servizi logistici DFDS), ma soprattutto una forte sinergia con la Regione Friuli Venezia Giulia e il territorio. Il porto di Trieste sta sperimentando una nozione di porto regione che ben si addice alla specificità del sistema portuale nazionale che è bene ricordarlo è estremamente parcellizzato: 16 Autorità portuali di Sistema, 58 porti di cui ben 16 afferenti alla rete centrale TEN-T, tutti inseriti in una intensa urbanizzazione costiera che limita fortemente il processo di delocalizzazione e di ampliamento della capacità portuale. Il sistema portuale nazionale è strutturalmente legato al territorio, alle aree retroportuali, agli interporti, ai distretti industriali, alle esigenze di consumo e di rifornimento dei territori regionali, alle ZES /Zone Economiche Speciali). E naturalmente alle città di riferimento.